giovedì 21 marzo 2013

"Istruzione, fame e sottosviluppo"

La mancanza di istruzione è uno dei problemi che si collega inevitabilmente con quello della povertà e della fame e raggiunge punte elevate proprio nelle zone più povere del mondo ancor oggi in tutto il mondo 113 milioni di bambini non frequentano la scuola primaria, mentre 40 milioni non riescono ad arrivare all’ultima classe della scuola elementare. D’altra parte per la grande maggioranza della popolazione dei paesi poveri, che vive soprattutto in campagna ed è legata all’agricoltura tradizionale di sussistenza o alla pastorizia, la scuola non ha molto significato perché non serve a migliorare la loro vita di tutti i giorni. E comunque l’Africa il continente che appare più fragile anche in questo ambito. Qui vi sono molti paesi nei quali ancora oggi più del 70% della popolazione è analfabeta.

Anche l’incremento demografico è un sintomo delle condizioni di povertà e di miseria in cui si trovano i paesi del Sud del mondo: l’alta natalità non causa la povertà ma se mai ne è una conseguenza.

Il problema della fame e del sottosviluppo è in primo luogo legato alla produttività agricola e non alla mancanza di risorse naturali che anche se vi sono non vengono sfruttate o vengono utilizzate male e senza alcun beneficio per le popolazioni. Essa è particolarmente bassa, nonostante le vaste estensioni di terreni e l’alta percentuale di popolazione dedita all’agricoltura. In questi paesi si pratica l’agricoltura di sussistenza o l’agricoltura commerciale- speculativa di piantagione. Dalla prima si ottengono raccolti scarsi e irregolari, che non garantiscono un’alimentazione costante nell’arco dell’anno, anche a causa dell’ignoranza delle tecniche di conservazione. Ad aggravare la situazione delle aree ad agricoltura di sussistenza contribuisce spesso l’assenza dell’allevamento di animali da carne. Dall’agricoltura di piantagione, praticata in grandi aziende gestite da latifondisti locali o da multinazionali, si ricavano quasi sempre prodotti inutili all’alimentazione delle popolazioni locali: cotone, caffè, cacao, the ecc… vengono esportati con benefici economici non certo delle popolazioni indigene ,che sono interessate a queste produzioni unicamente come operai agricoli stagionali e mal retribuiti.

Ci si può chiedere come sia possibile che interi Paesi basino la loro economia su una forma di agricoltura che non consente di sfamarsi neppure a chi coltiva la terra.

Le cause vanno ricercate nelle strutture sociali ed economiche tipiche dei paesi sottosviluppati, dove domina il latifondo e una ineguale distribuzione della ricchezza, posseduta da poche famiglie privilegiate, protette da regimi politici dittatoriali o, comunque, arcaici.

L’agricoltura estensiva di latifondo consente ai proprietari lauti guadagni, senza la necessità di modernizzare le tecniche agricole o di intensificare e mutare le coltivazioni.
E’ chiaro quindi che i problemi alimentari sono, per varie vie, aggravati dl persistere del latifondo.

Il fenomeno è particolarmente vistoso nell’America Latina, dove più della metà del terreno coltivabile è posseduto dal 4% dei proprietari.

Grandi proprietà sottosfruttate sono presenti anche in alcuni Stati del bacino del Mediterraneo, del vicino Oriente, dell’Africa Australe e Orientale.

Nell’Asia Meridionale e in Estremo Oriente, i grandi proprietari non applicano nei loro possedimenti la tipica conduzione latifondiaria di modello sudamericano.

Essi affidano le terre ai contadini, dai quali, protetti da leggi inique, possono pretendere, come accade in India e in molti Paesi musulmani, sino al 60-80% del raccolto, che viene poi esportato.

I contadini, vincolati in un proprio regime feudale, si indebitano sempre di più e soffrono la fame, mentre i proprietari si arricchiscono.

Mancano così le condizioni per mettere a coltura i molti milioni di ettari arabili che ancora esistono e che sono lasciati incolti.

Metodi agricoli rudimentali, tecniche arcaiche, sementi non selezionate, mancanza di difese contro le malattie delle piante e degli animali, concimazioni inadeguate, assenza di pratiche irrigue contribuiscono al mantenimento della povertà e della fame.

Nei Paesi poveri ed arretrati, quindi, la popolazione non solo non riesce a produrre a sufficienza per alimentarsi adeguatamente, ma neppure dispone di un reddito che consente di acquistare quanto le serve per migliorare le tecniche agricole.

E’ chiaro che la soluzione del problema alimentare non spetta necessariamente solo all’agricoltura.

Lo sviluppo industriale potrebbe infatti fornire redditi per importare prodotti alimentari e tecnologie atte a migliorare le produzioni agricole.

Ma nei Paesi sottosviluppati lo sviluppo industriale è assente o del tutto insufficiente, nonostante alcuni di essi dispongano di materie prime e fonti di energia.

Ancora una volta si ripresenta l’interdipendenza dei fenomeni che mantengono certi paesi nel sottosviluppo: le scarse attrezzature, le deficienze delle infrastrutture, l’analfabetismo, le cattive condizioni di salute, la concentrazione dei capitali nelle mani di poche famiglie incuranti del progresso del loro paese, la povertà dei mercati interni, costituiscono il vero impedimento al sorgere ed al prosperare dell’industria.

Alcuni paesi, quali, ad esempio, lo Zimbabwe e il Cile, in verità, hanno industrie di notevole importanza. Queste, però, lavorano esclusivamente per l’esportazione e sono di proprietà di gruppi imprenditoriali e finanziari internazionali (le multinazionali), che localizzano le industrie in questi Paesi poveri, per trarne vantaggio nell’acquisto di materie prime e nell’impiego di manodopera a basso costo.

Questi gruppi imprenditoriali, infine, esportano i loro guadagni, lasciando i Paesi sottosviluppati, che li hanno accolti, sempre più poveri.

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